venerdì 2 novembre 2012

STUPIDITA'



STUPIDITA’                                    
 Autore Balestra Adriano (personalmente esperto)

“Conosco due cose infinite: l’universo e la stupidità umana. Sulla prima ho ancora dei dubbi.”  (Albert Einstein)

Fino a poco fa’ dicevano che l’ignoranza è guaribile ma la stupidità è inguaribile.
Non sono d’accordo su questo, perché l’ignoranza è causa della scarsità di nozioni memorizzate nel cervello, per cui:
 se ho uno stimolo verbale, visivo o di qualsiasi tipo, e non trovo alcun riscontro nel cervello per poter reagire, a fatti o a parole in modo “intelligente”, reagisco in modo "stupido" o, più realisticamente, non reagisco affatto.

L’IGNORANZA è la MADRE della STUPIDITA’.
Originariamente il termine "stupidità" ha due accezioni distinte: una vede una condizione d'incapacità o insensibilità, indotta da meraviglia, sorpresa; l'altra una condizione duratura, come dire un handicap. Generalmente "stupidità" indica "incapacità" e "carenza", sul piano materiale e su quello morale. Carlo Maria Cipolla definisce lo stupido come "una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita".

Il termine deriva (sec. XIV) dal verbo latino stùpeo, ossia "son stordito, resto attonito". Lo "stupido" è infatti colui che non sa dominare il circostante, e le situazioni, con tutti i loro fenomeni: ne resta attonito, spiazzato. L'inetto descritto da Italo Svevo è un tipico esempio di "stupido": di fronte al bivio non saprà mai che direzione imboccare.

Nel latino il suffisso -idus, (da cui stupidus, "stupido") è proprio di aggettivi verbali col senso di qualità durevole. Da qui la prima controversia: la stupidità è uno stato costante, è un handicap?

Letteralmente stupidità ("stupiditas") indica torpore e intontimento. Oggi ne resta una traccia vaga: ad esempio la differenza fra "instupidito" (appunto intontito, infiacchito, mentalmente stanco) e "stupido". Gli antichi consideravano la stupidità una passione: subire gli avvenimenti senza avere potere su di essi. Così lo stupido era immobile di fronte alle situazioni. Il discorso è molto diverso per una cosa come i vizi, che sono misfatti, azioni moralmente riprovevoli: sottintendono necessariamente un'attività, da parte del "vizioso". Al contrario si può dire che l'accezione storica vede la stupidità come qualità. In senso caratterizzante, e in questo passiva.
Generalmente lo stupido è colui che ripete inconsciamente i propri errori, è incapace di correggerli, regolamentarsi. Non è in grado di scegliere che strada imboccare. "Molti fattori del comportamento umano, intrinsecamente diversi dalla stupidità, possono contribuirvi". Non è il caso di una cosa come la paura, sentimento tipico nell'individuo "stupido"
Certo compiere una "stupidaggine" è ben diverso dall'essere un individuo stupido. Imboccare la direzione "sbagliata" non fa l'uomo stupido. È scegliere di tentare, e non è stupido. È giusto ricordare questa differenza, ma si torna sempre allo stesso bivio:
compiere azioni stupide fa l'uomo stupido
l'uomo stupido può compiere solo azioni stupide.
La risposta al quesito è nell'evoluzione sociale della specie, nella civiltà e nei suoi linguaggi

Linguaggi, società, storia 
È necessario intendere le parole "stupido" e "stupidità" innanzitutto come convenzioni. I significati che gli attribuiamo sono patrimonio culturale degli uomini, e disegnano a ognuno di noi un'immagine comune. Immagine contingente alla nostra società.
Il linguaggio (specchio dell'evoluzione umana) può darci una chiave di lettura valida, ma per comprendere a fondo bisogna inserire lo "stupido" in un contesto sociale : metterlo in relazione con altri individui.
Giancarlo Livraghi (ricercatore, autore de "Il potere della stupidità") ci fa notare come si tenda "ad etichettare come stupidi tutti i comportamenti che non rientrano nei nostri schemi mentali ordinari".
Vero è che il significato della parola "stupidità" ha subito innumerevoli deformazioni, modificate da altrettante accezioni (la maggior parte delle quali in senso dispregiativo). Ha concentrato in sé moltissime caratteristiche degli esseri umani, ed è (più di altre parole) simbolo di mancanza, di "deficienza". È sinonimo di ignoranza e di superstizione, di un certo limite intellettuale. Lo stupido è colui che non utilizza, o non può utilizzare al meglio la propria intelligenza. È implicitamente, seppure in diverse misure, un portatore di handicap. Nella lingua corrente la parola ha via via perso il legame col concetto di stupore, accostandosi sempre più a "cretino": dal ben altro colore. Non a caso ormai, "stupido" è omologato a parole (anche gergali) come "deficiente", "idiota" o "tonto". Non più ad esempio a "sciocco" o "ingenuo", dal tono più premuroso, mai necessariamente offensive.
Nell'antichità, quando il termine "stupido" era ancora profondamente legato al concetto di stupore, esso non aveva connotati negativi. Per comprendere meglio poniamo questo paradosso.
Due uomini del passato: uno dei due è immobilizzato da un bivio, e se ne sta ritto al centro di esso. L'altro uomo, che lo guarda mentre è in difficoltà, giudicando stupida la sua incapacità di scegliere quale direzione imboccare, se ne stupisce. Egli stesso di fronte ad un bivio, non sentendosi a ragione uno "stupido", imboccherebbe una strada o l'altra. Quest'uomo è stupito dal fatto che ci si possa trovare in difficoltà di fronte ad un bivio; lo ritiene "stupido". La stupidità degli altri infatti ci stupisce, non ci rappresenta, o così ci pare. Ma stupendoci di questa ingenuità, della "stupidità" dell'uomo immobile sul bivio, non siamo noi stessi degli stupidi?
Notiamo qui come il significato della stupidità sia incredibilmente dinamico. Non dovrebbe (in linea teorica) assumere connotati negativi: ne deduciamo allora come non abbia più senso oggi intendere la "stupidità" come conseguenza di meraviglia. Ha perso la sua dinamicità. Per comprendere i significati odierni dobbiamo addentrarci ancora.

La contraddizione, lo scontro di due concetti ugualmente validi, è forse alla base della stupidità. Come già detto è perfettamente rappresentata dall'immagine del bivio, d'accordo: due direzioni vicendevolmente irrinunciabili, e per questo eternamente critiche (metteranno e manterranno l'individuo in questione in uno stato di stupidità, verosimilmente in eterno.
Se ne può dedurre che l'uomo stupido è per propria stessa natura privo di libertà.
È privo della capacità di scegliere. È privo della capacità di discernere. Senza possibilità di distinguere non accumula esperienza. Di fronte ai fenomeni del mondo non sa agire, né soprattutto può interagire. Si nega lui stesso la coscienza? C'è da chiedersi se non siano anche "forze maggiori" a negargliela. Nella letteratura di Italo Svevo, e dei suoi contemporanei, "l'inetto" era portato a scegliere autonomamente la "stupidità", per fuggire al male del mondo; vi si rinchiudeva per sfuggire alla società circostante. O ancora: i grandi Leader del passato, alcuni di loro, hanno indotto intere masse a compiere azioni che si possono considerare a posteriori "stupide". Un esempio (su cui riflettere) è la morte di tutta la gioventù di secoli e secoli, mandata al suicidio fanatico della guerra, sul campo di battaglia. Uomini e donne ai quali, dalla veemenza degli oratori, è stata annichilitala la capacità di scegliere.

Ma gli stessi Leader hanno commesso grandi errori, considerati a posteriori "stupidi". Così un gesto di intelligenza e di esperienza si rivela ai fatti, solo più tardi, una stupidaggine. Altrettanto è vero che ciò che un individuo trova stupido non lo è universalmente. Riflettendo sulla nostra cultura (cultura dei consumi spiccatamente occidentale, ora esportata anche in oriente) si notano alcune cose interessanti.

Il consumo è generalmente una delle fonti di reddito fondamentali per uno stato. È uno dei più grandi e sviluppati ingranaggi dell'economia moderna: innesta una nuova morale, una morale propria (che viene chiamata "postmoderna") ed oggi come mai è un fenomeno di portata macroscopica, tanto da influire (con le arti creative del marketing) sulla capacità di scegliere degli individui. Nella società contemporanea è necessario scegliere quale prodotto acquistare, lavorare per comprarlo e contribuire al normale funzionamento della macchina. Uno dei valori fondamentali della nuova impostazione morale degli uomini è la necessità di "consumare", per non rallentare l'economia. Come già detto è "necessario".
Oggi dunque non scegliere (e implicitamente rallentare questa "macchina") è considerato "stupido".
Parlando dunque della stupidità come giudizio contingente alla società, tanti dubbi sono chiariti. Contrapponendosi a questa "morale", nella quale è stupido evitare di scegliere (e acquistare i prodotti), si viene meno al presunto “dovere dell’individuo di contribuire allo sviluppo dell’economia”.
Stupido in questo contesto e’ colui che evita di scegliere. (per approfondire leggi Vita liquida di Zygmunt Bauman)
Al contrario però, agli occhi di colui che sceglie deliberatamente di "non scegliere", lo stupido è proprio "chi consuma". È esattamente "colui che sceglie", lo stupido. La situazione è completamente ribaltata. È qui che ritorna la dinamicità della parola, per il semplice fatto che si fonda su dei valori, come già detto. È "stupido" colui che rifiuta o contraddice i nostri schemi ordinari. In passato la stupidità non è sempre consistita nel "non scegliere". Molti uomini non avevano la capacità di scegliere, nel caso per esempio di un contadino i propri interessi; né addirittura la propria vita. Stupido era opporsi allo stato di cose: nel più dei casi si finiva col farsi uccidere.
Senza la possibilità di scegliere è impossibile essere considerati individui stupidi.
La stupidità non andrebbe assolutamente intesa come contrario dell'intelligenza, quando si risolve in un gesto, in un'azione stupida. Tante cose lo dimostrano. Atti avventati, le grandi sviste della storia, errori apparentemente "stupidi": hanno dato agli uomini la coscienza che li contraddistingue.
Nella religione il celebre gesto di Adamo: afferrò la mela contro la volontà di Dio e soprattutto contro i propri interessi. Il gesto "stupido" per eccellenza.
La stupidità come morbo.
A posteriori dunque possiamo dire che la "stupidità" sa essere una via di progresso.
Ed è anche un enorme strumento di potere, soprattutto in senso di controllo. Per esempio quando viene sfruttata per influenzare l'opinione pubblica (basti pensare a un fenomeno come la demagogia). Assume valori molto diversi, a seconda di dove lo s'inserisca: o una certa "condotta", morale e fisica; o una semplice apparente carenza d'intelligenza da parte d'un individuo; o ancora un probabile "handicap", nel senso più esclusivo possibile. Ma è una malattia?

Uno studio dell'università inglese di Exeter ha identificato un'area nel cervello (nella regione temporale della corteccia) che si attiva per non ripetere un errore già commesso. Se alla base della stupidità ci fosse un'anomalia di questa regione?
Gli studi possono chiarire molti dubbi al riguardo. Ma potranno crearne di nuovi. Una scoperta del genere, se confermata, ribalta la situazione. La stupidità è innegabilmente avvalorata come handicap.
Che "la stupidità" trovi la sua giusta definizione, nei limiti in cui possa davvero esisterne una, è tutto da stabilire. Indubbiamente è uno dei temi prediletti di letterati e filosofi. Ed è considerata in più casi il male maggiore, nel panorama della qualità umane. Basti pensare a tutto ciò che ne ha detto Oscar Wilde.
Stupidità e religione cristiana
Nel Vangelo di Marco la stupidità (o "stoltezza") è accomunata ad altre forme di peccato. Il termine ricorre anche nell'Antico Testamento: nel libro dell'Ecclesiaste è scritto "Il numero degli stolti è infinito".
L'argomento è negletto per la Chiesa cattolica nel complesso. Pare che l'ultima apparizione nei documenti ecclesiastici ufficiali del termine "stolti" inteso come peccatori risalga alla bolla contro Lutero di Papa Leone X nel 1520 intitolata "Exsurge Domine!".
Stupidità e diritto.
Nel Codice Penale italiano l'articolo 61 prevede l'elevazione della pena fino a un terzo se esiste l'aggravante "per futili motivi". Qualcosa di simile esiste nella "Common Law" dei paesi anglosassoni. Entrambi hanno radici nella antica cultura giuridica romana.
Il tema della stupidità nella letteratura.
Nel corso dei secoli (da Euripide a Immanuel Kant a Carlo Maria Cipolla, da sempre insomma) il discorso sulla stupidità ha aperto al territorio di innumerevoli riflessioni, e interpretazioni. Il tema del "divertissement" per esempio. L'evasione "senza senso" proposta da Pascal: la stupidità come difesa contro l'assillo dei grandi problemi sul senso della vita. Lo stesso Umberto Eco, nel suo "Il pendolo di Foucault", inserisce spesso una riflessione sulla stupidità. Ancora il tema della chiacchiera-curiosità-equivoco in Martin Heidegger. O Giovenale, antica Roma, poeta satirico e professore di retorica. Egli intitolò la propria quarta satira: "Uso stupido del potere" (vedi le satire di Giovenale)
Anche nella pedagogia si sviluppa il tema della stupidità, ed è molto articolato. Per fare un esempio: Comenius (Johan Amos Komenskẏ). In un proprio brano, l'educatore e pedagogista ceco si fa promotore dei meno dotati, considerandoli giustamente svantaggiati (e più bisognosi quindi di sostegno, rispetto ad altri).
È interessante il lavoro di Carlo Mario Cipolla, vero e proprio studio sulle leggi della stupidità.
La morale
La stupidità dell' uomo non é tanto per le azioni quanto per come riflette. Gli esseri umani pensano solo al loro mondo e a come cercare di migliorarlo, evidenziando egoismo, intolleranza, incomprensione e altri difetti che ne fanno una razza dai pensieri troppo complessi, che portano alla stupidità di tutti. Tutti vogliono aver ragione, perciò tutti diventano intolleranti; tutti hanno paura dei giudizi, perciò tutti cercano modelli già visti che l'immaginario collettivo accetta; tutti vivono nel loro piccolo mondo, e non provano a guardarsi da fuori per vedere i propri difetti; tutti ragionano secondo quel che é giusto per la morale, e non per quello che sarebbe veramente giusto. A causa della coscienza (nella psicoanalisi é il Super-io) non possono essere veramente liberi. A causa della religione non possono rendersi conto di quanto l'Universo offra. A causa dell' uomo, l'uomo si distruggerà.

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