STUPIDITA’
Autore Balestra Adriano (personalmente
esperto)
“Conosco due cose
infinite: l’universo e la stupidità umana. Sulla prima ho ancora dei dubbi.” (Albert Einstein)
Fino a poco fa’
dicevano che l’ignoranza è guaribile ma la stupidità è inguaribile.
Non sono d’accordo
su questo, perché l’ignoranza è causa della scarsità di nozioni memorizzate nel
cervello, per cui:
se ho uno stimolo verbale, visivo o di
qualsiasi tipo, e non trovo alcun riscontro nel cervello per poter reagire, a
fatti o a parole in modo “intelligente”, reagisco in modo "stupido"
o, più realisticamente, non reagisco affatto.
L’IGNORANZA è la
MADRE della STUPIDITA’.
Originariamente il
termine "stupidità" ha due accezioni distinte: una vede una
condizione d'incapacità o insensibilità, indotta da meraviglia, sorpresa;
l'altra una condizione duratura, come dire un handicap.
Generalmente "stupidità" indica "incapacità" e
"carenza", sul piano materiale e su quello morale. Carlo Maria Cipolla definisce lo stupido come
"una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone
senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una
perdita".
Il termine deriva
(sec. XIV) dal verbo latino stùpeo, ossia "son stordito, resto
attonito". Lo "stupido" è infatti colui che non sa dominare il
circostante, e le situazioni, con tutti i loro fenomeni: ne resta attonito,
spiazzato. L'inetto descritto da Italo Svevo
è un tipico esempio di "stupido": di fronte al bivio non saprà mai
che direzione imboccare.
Nel latino il
suffisso -idus, (da cui stupidus, "stupido") è proprio di aggettivi
verbali col senso di qualità durevole. Da qui la prima controversia: la
stupidità è uno stato costante, è un handicap?
Letteralmente stupidità
("stupiditas") indica torpore e intontimento. Oggi ne resta una
traccia vaga: ad esempio la differenza fra "instupidito" (appunto
intontito, infiacchito, mentalmente stanco) e "stupido". Gli antichi
consideravano la stupidità una passione: subire gli avvenimenti senza avere
potere su di essi. Così lo stupido era immobile di fronte alle situazioni. Il
discorso è molto diverso per una cosa come i vizi, che sono misfatti, azioni
moralmente riprovevoli: sottintendono necessariamente un'attività, da parte del
"vizioso". Al contrario si può dire che l'accezione storica vede la
stupidità come qualità. In senso caratterizzante, e in questo passiva.
Generalmente lo
stupido è colui che ripete inconsciamente i propri errori, è incapace di
correggerli, regolamentarsi. Non è in grado di scegliere che strada imboccare.
"Molti fattori del comportamento umano, intrinsecamente diversi dalla stupidità,
possono contribuirvi". Non è il caso di una cosa come la paura, sentimento
tipico nell'individuo "stupido"
Certo compiere una
"stupidaggine" è ben diverso dall'essere un individuo stupido.
Imboccare la direzione "sbagliata" non fa l'uomo stupido. È scegliere
di tentare, e non è stupido. È giusto ricordare questa differenza, ma si torna
sempre allo stesso bivio:
compiere azioni
stupide fa l'uomo stupido
l'uomo stupido può
compiere solo azioni stupide.
La risposta al
quesito è nell'evoluzione sociale della specie, nella civiltà e nei suoi
linguaggi
Linguaggi, società, storia
È necessario
intendere le parole "stupido" e "stupidità" innanzitutto
come convenzioni. I significati
che gli attribuiamo sono patrimonio culturale degli uomini, e disegnano a
ognuno di noi un'immagine comune. Immagine contingente alla nostra società.
Il linguaggio (specchio
dell'evoluzione umana) può darci una chiave di lettura valida, ma
per comprendere a fondo bisogna inserire lo "stupido" in un contesto
sociale : metterlo in relazione con altri individui.
Giancarlo Livraghi (ricercatore, autore de
"Il potere della stupidità") ci fa notare come si tenda "ad
etichettare come stupidi tutti i comportamenti che non rientrano nei nostri
schemi mentali ordinari".
Vero è che il
significato della parola "stupidità" ha subito innumerevoli
deformazioni, modificate da altrettante accezioni (la maggior parte delle quali
in senso dispregiativo). Ha concentrato in sé moltissime caratteristiche degli
esseri umani, ed è (più di altre parole) simbolo di mancanza, di
"deficienza". È sinonimo di ignoranza
e di superstizione,
di un certo limite intellettuale. Lo stupido è colui che non utilizza, o non
può utilizzare al meglio la propria intelligenza. È implicitamente, seppure in
diverse misure, un portatore di handicap. Nella lingua corrente la parola ha
via via perso il legame col concetto di stupore, accostandosi sempre più a
"cretino": dal ben altro colore. Non a caso ormai,
"stupido" è omologato a parole (anche gergali) come
"deficiente", "idiota" o "tonto". Non più ad
esempio a "sciocco" o "ingenuo", dal tono più premuroso,
mai necessariamente offensive.
Nell'antichità,
quando il termine "stupido" era ancora profondamente legato al
concetto di stupore, esso non aveva connotati negativi. Per comprendere meglio
poniamo questo paradosso.
Due uomini del
passato: uno dei due è immobilizzato da un bivio, e se ne sta ritto al centro
di esso. L'altro uomo, che lo guarda mentre è in difficoltà, giudicando stupida
la sua incapacità di scegliere quale direzione imboccare, se ne stupisce. Egli
stesso di fronte ad un bivio, non sentendosi a ragione uno "stupido",
imboccherebbe una strada o l'altra. Quest'uomo è stupito dal fatto che ci si
possa trovare in difficoltà di fronte ad un bivio; lo ritiene
"stupido". La stupidità degli altri infatti ci stupisce, non ci
rappresenta, o così ci pare. Ma stupendoci di questa ingenuità, della
"stupidità" dell'uomo immobile sul bivio, non siamo noi stessi degli
stupidi?
Notiamo qui come il
significato della stupidità sia incredibilmente dinamico. Non dovrebbe (in
linea teorica) assumere connotati negativi: ne deduciamo allora come non abbia
più senso oggi intendere la "stupidità" come conseguenza di
meraviglia. Ha perso la sua dinamicità. Per comprendere i significati odierni
dobbiamo addentrarci ancora.
La contraddizione,
lo scontro di due concetti ugualmente validi, è forse alla base della
stupidità. Come già detto è perfettamente rappresentata dall'immagine del
bivio, d'accordo: due direzioni vicendevolmente irrinunciabili, e per questo
eternamente critiche (metteranno e manterranno l'individuo in questione in uno
stato di stupidità, verosimilmente in eterno.
Se ne può dedurre
che l'uomo stupido è per propria stessa natura privo di libertà.
È privo della
capacità di scegliere. È privo della capacità di discernere. Senza possibilità
di distinguere non accumula esperienza. Di fronte ai fenomeni del mondo non sa
agire, né soprattutto può interagire. Si nega lui stesso la coscienza? C'è da
chiedersi se non siano anche "forze maggiori" a negargliela. Nella letteratura
di Italo Svevo, e dei suoi contemporanei, "l'inetto" era portato a
scegliere autonomamente la "stupidità", per fuggire al male del
mondo; vi si rinchiudeva per sfuggire alla società circostante. O ancora: i
grandi Leader del passato, alcuni di loro, hanno indotto intere masse a
compiere azioni che si possono considerare a posteriori "stupide". Un
esempio (su cui riflettere) è la morte di tutta la gioventù di secoli e secoli,
mandata al suicidio fanatico della guerra, sul campo di battaglia. Uomini e
donne ai quali, dalla veemenza degli oratori, è stata annichilitala la capacità
di scegliere.
Ma gli stessi Leader
hanno commesso grandi errori, considerati a posteriori "stupidi".
Così un gesto di intelligenza e di esperienza si rivela ai fatti, solo più
tardi, una stupidaggine. Altrettanto è vero che ciò che un individuo trova
stupido non lo è universalmente. Riflettendo sulla nostra cultura (cultura dei
consumi spiccatamente occidentale, ora esportata anche in oriente) si notano
alcune cose interessanti.
Il consumo è
generalmente una delle fonti di reddito fondamentali per uno stato. È uno dei
più grandi e sviluppati ingranaggi dell'economia moderna: innesta una nuova
morale, una morale propria (che viene chiamata "postmoderna") ed oggi
come mai è un fenomeno di portata macroscopica, tanto da influire (con le arti
creative del marketing)
sulla capacità di scegliere degli individui. Nella società contemporanea è
necessario scegliere quale prodotto acquistare, lavorare per comprarlo e
contribuire al normale funzionamento della macchina. Uno dei valori
fondamentali della nuova impostazione morale degli uomini è la necessità di
"consumare", per non rallentare l'economia. Come già detto è "necessario".
Oggi dunque non
scegliere (e implicitamente rallentare questa "macchina") è
considerato "stupido".
Parlando dunque
della stupidità come giudizio contingente alla società, tanti dubbi sono
chiariti. Contrapponendosi a questa "morale", nella quale è stupido
evitare di scegliere (e acquistare i prodotti), si viene meno al presunto
“dovere dell’individuo di contribuire allo sviluppo dell’economia”.
Stupido in questo
contesto e’ colui che evita di scegliere. (per approfondire leggi Vita liquida
di Zygmunt
Bauman)
Al contrario però,
agli occhi di colui che sceglie deliberatamente di "non scegliere",
lo stupido è proprio "chi consuma". È esattamente "colui che
sceglie", lo stupido. La situazione è completamente ribaltata. È qui che
ritorna la dinamicità della parola, per il semplice fatto che si fonda su dei
valori, come già detto. È "stupido" colui che rifiuta o contraddice i
nostri schemi ordinari. In passato la stupidità non è sempre consistita nel
"non scegliere". Molti uomini non avevano la capacità di scegliere,
nel caso per esempio di un contadino i propri interessi; né addirittura la
propria vita. Stupido era opporsi allo stato di cose: nel più dei casi si
finiva col farsi uccidere.
Senza la possibilità
di scegliere è impossibile essere considerati individui stupidi.
La stupidità non
andrebbe assolutamente intesa come contrario dell'intelligenza,
quando si risolve in un gesto, in un'azione stupida. Tante cose lo dimostrano.
Atti avventati, le grandi sviste della storia, errori apparentemente
"stupidi": hanno dato agli uomini la coscienza che li
contraddistingue.
Nella religione il
celebre gesto di Adamo: afferrò la mela contro la volontà di Dio e soprattutto
contro i propri interessi. Il gesto "stupido" per eccellenza.
La stupidità come
morbo.
A posteriori dunque
possiamo dire che la "stupidità" sa essere una via di progresso.
Ed è anche un enorme
strumento di potere, soprattutto in senso di controllo. Per esempio quando
viene sfruttata per influenzare l'opinione pubblica (basti pensare a un
fenomeno come la demagogia). Assume valori molto diversi, a seconda di dove lo
s'inserisca: o una certa "condotta", morale e fisica; o una semplice
apparente carenza d'intelligenza da parte d'un individuo; o ancora un probabile
"handicap", nel senso più esclusivo possibile. Ma è una malattia?
Uno studio
dell'università inglese di Exeter ha identificato un'area nel cervello (nella
regione temporale della corteccia) che si attiva per non ripetere un errore già
commesso. Se alla base della stupidità ci fosse un'anomalia di questa regione?
Gli studi possono
chiarire molti dubbi al riguardo. Ma potranno crearne di nuovi. Una scoperta
del genere, se confermata, ribalta la situazione. La stupidità è innegabilmente
avvalorata come handicap.
Che "la
stupidità" trovi la sua giusta definizione, nei limiti in cui possa
davvero esisterne una, è tutto da stabilire. Indubbiamente è uno dei temi
prediletti di letterati e filosofi. Ed è considerata in più casi il male
maggiore, nel panorama della qualità umane. Basti pensare a tutto ciò che ne ha
detto Oscar Wilde.
Stupidità e
religione cristiana
Nel Vangelo di
Marco la stupidità (o "stoltezza") è accomunata ad altre
forme di peccato. Il termine ricorre anche nell'Antico
Testamento: nel libro dell'Ecclesiaste
è scritto "Il numero degli stolti è infinito".
L'argomento è
negletto per la Chiesa cattolica nel complesso. Pare che
l'ultima apparizione nei documenti ecclesiastici ufficiali del termine
"stolti" inteso come peccatori risalga alla bolla contro Lutero di
Papa Leone X nel 1520 intitolata "Exsurge Domine!".
Stupidità e diritto.
Nel Codice Penale
italiano l'articolo 61 prevede l'elevazione della pena fino a un terzo se
esiste l'aggravante "per futili motivi". Qualcosa di simile esiste
nella "Common Law" dei paesi anglosassoni. Entrambi hanno radici
nella antica cultura giuridica romana.
Il tema della
stupidità nella letteratura.
Nel corso dei secoli
(da Euripide
a Immanuel Kant
a Carlo Maria Cipolla, da sempre insomma) il
discorso sulla stupidità ha aperto al territorio di innumerevoli riflessioni, e
interpretazioni. Il tema del "divertissement" per esempio. L'evasione
"senza senso" proposta da Pascal:
la stupidità come difesa contro l'assillo dei grandi problemi sul senso della
vita. Lo stesso Umberto Eco, nel suo "Il pendolo di Foucault", inserisce
spesso una riflessione sulla stupidità. Ancora il tema della chiacchiera-curiosità-equivoco
in Martin Heidegger. O Giovenale,
antica Roma, poeta satirico e professore di retorica. Egli intitolò la propria
quarta satira: "Uso stupido del potere" (vedi le satire di Giovenale)
Anche nella
pedagogia si sviluppa il tema della stupidità, ed è molto articolato. Per fare
un esempio: Comenius
(Johan Amos Komenskẏ). In un proprio brano, l'educatore e pedagogista ceco si
fa promotore dei meno dotati, considerandoli giustamente svantaggiati (e più
bisognosi quindi di sostegno, rispetto ad altri).
È interessante il
lavoro di Carlo Mario Cipolla, vero e proprio studio sulle leggi della
stupidità.
La morale
La stupidità dell'
uomo non é tanto per le azioni quanto per come riflette. Gli esseri umani
pensano solo al loro mondo e a come cercare di migliorarlo, evidenziando
egoismo, intolleranza, incomprensione e altri difetti che ne fanno una razza
dai pensieri troppo complessi, che portano alla stupidità di tutti. Tutti
vogliono aver ragione, perciò tutti diventano intolleranti; tutti hanno paura
dei giudizi, perciò tutti cercano modelli già visti che l'immaginario
collettivo accetta; tutti vivono nel loro piccolo mondo, e non provano a
guardarsi da fuori per vedere i propri difetti; tutti ragionano secondo quel
che é giusto per la morale, e non per quello che sarebbe veramente giusto. A
causa della coscienza (nella psicoanalisi é il Super-io) non possono essere
veramente liberi. A causa della religione non possono rendersi conto di quanto
l'Universo offra. A causa dell' uomo, l'uomo si distruggerà.
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